giovedì 14 novembre 2013

Il Cairo-Mosca, un abbraccio fra i ricordi


Nei due giorni di colloqui apertisi stamane al Cairo fra i ministri degli esteri egiziano Fahmy e russo Lavrov c'è quasi il  sapore dell'album dei ricordi, con foto storiche d’un mondo diviso in blocchi, di partnership e speranze terzomondiste, d’un passato che oggi può ripresentarsi più negli interessi di gruppi politici e di potere che nella fiducia di miglioramento degli strati popolari. Non solo perché Lavrov non è Kosygin e la distanza dello spessore politico, seppure simili paralleli siano improponibili, fra Putin e Kruscev risulta siderale. Ma perché occorre valutare come si va posizionando Mosca in Medio Oriente e altrove. Per ora il metaforico abbraccio conduce a valutazioni pratiche di carattere economico, glissando ampiamente la scottante questione della legittimità dell’attuale gruppo dirigente egiziano che per una parte della nazione ha spodestato illegittimamente Mursi. Gli incontri condurranno Lavrov al cospetto dei contestati presidente ad interim Al Mansour e ministro della Difesa generale Al Sisi, non entreranno nel merito della questione del “colpo di stato bianco” e della sanguinosa repressione di quest’estate, più per opportunità che per volontà di non ingerenza. Sebbene la politica mediorientale del Cremlino degli ultimi tempi si dimostri molto più attenta, oculata ed efficace di quella della Casa Bianca, prigioniera quest’ultima di mai accantonate tentazioni muscolari non solo da parte Neocon.
Rievocando i settant’anni di contatti, seppure dal 1979 la leadership cairota avesse guardato quasi esclusivamente Oltreoceano, Lavrov ha toccato un tema sensibile per le casse egiziane: il turismo. Che è in forte ripresa, più 230% dallo scorso settembre nonostante i tumulti di piazza estivi. Un riscontro che mancava dall’avvìo della “Primavera”, pur se si è ancora ben lontani dai 14,7 milioni di turisti registrati nel 2010. Ma vacanzieri, nuovi ricchi e probabilmente affaristi russi interessati ai resort sul Mar Rosso o ai tour operator dei siti archeologici amerebbero una situazione tranquilla che tuttora manca. Levrov ne ha discusso con l’omologo prospettando una collaborazione sul tema della sicurezza interna e forse proponendone una delle Intelligence (chissà cosa ne pensano a Langley) per la lotta al terrorismo jihadista, spettro per entrambi i governi. Dalla sicurezza si passa agli armamenti. Anche qui l’amarcord ripropone quel che c’era in epoca nasseriana e ciò che è accaduto dopo. Oggi il protettorato statunitense dona al Paese quell’1,3 miliardi di dollari che costituiscono la base su cui si fonda la stabilità della potente e onnipresente lobby militare da cui proviene Al Sisi. Ma nel valzer delle aperture nulla osta che si torni all’antico e che Mosca alletti la leadership con propri fondi e forniture. Per ora si parla d’un pezzo pregiato della marina russa il Varyag, nato incrociatore a metà anni Sessanta, modificato nei Novanta, che sfoggia una versione portaerei con missili da crociera. Un esemplare del “giocattolo” stazionerà per cinque giorni nel porto di Alessandria.
Fermi restando i discorsi sulla cooperazione fra i due stati, anche in relazione al commercio di armamenti pesanti, i ministri promettono di profondere reciproci sforzi per il conseguimento della pace nella regione. In primo luogo verso la polveriera siriana da disinnescare politicamente, come da approccio per mesi suggerito da Lavrov in persona e attualmente accettato dai filo intervisti occidentali. La collaborazione con Washington per ripulire dalle armi chimiche i siti siriani (oltre 1000 tonnellate di materiale pericolosissimo) comporta l’onerosa spesa di 13 milioni di dollari, la Russia ha per ora contribuito con due propri. L’Egitto riveste un ruolo centrale verso l’ex nemico israeliano sulla questione palestinese. I due ministri degli esteri concordano sul disegno di svuotare l’area da armi di distruzione di massa, tema cui Israele non ha mai prestato ascolto, che diventa ancor più ostico se accompagnato all’altra idea su cui Lavrov e Fahmy concordano: riportare i confini fra israeliani e palestinesi alla situazione pre guerra dei ‘Sei giorni’. Mentre proseguono i colloqui giunge la notizia dell’ennesima sferzata ad attivisti e simpatizzanti della Fratellanza Musulmana. Alcuni di loro sono stati condannati a 17 anni di carcere per gli scontri scaturiti dall’attacco ai locali dell’università di Al-Azhar. I magistrati li hanno accusati di terrorismo, quel che resta dei vertici della Confraternita sostiene siano studenti. Ma del loro caso e della repressione strisciante nei colloqui di Stato non si fa cenno.

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