sabato 8 marzo 2014

Egitto, l’appuntamento con morte


Torna in strada al Cairo, Alessandria, Fayoum la protesta anti golpe e trova una repressione, secondo il ministro dell’interno attenta a non coinvolgere i cittadini, coloro che sollevano l’icona Sisi ormai atteso alla definitiva consacrazione per la corsa alla presidenza. Tornano in strada uomini e donne di Raaba, incontrano la morte in tre, con una trentina di feriti e 47 arrestati. Un rito che per qualche settimana il movimento delle quattro dita aveva evitato e che ripropone il medesimo schema dell’impari lotta. Nel frattempo gli animi si sono nuovamente scaldati attorno al report sulla repressione presentato giorni addietro nella capitale dal Consiglio Nazionale dei Diritti Umani che mostrava le responsabilità dei massacri d’agosto. Ad alcuni attivisti della Fratellanza veniva addebitato l’utilizzo di armi da fuoco all’inizio dei tumulti, cui era seguita la reazione poliziesca che aveva fatto 800 vittime (l’Alleanza per la Legittimità sostiene siano state almeno il doppio). Un’azione spropositata, secondo documento, tacciato a sua volta di avallo delle posizioni governative.  Infarcito di false affermazioni attribuite ad Amnesty International che, interpellata dal movimento di opposizione, ne ha categoricamente smentito la versione.  

Il report non attribuisce responsabilità repressive all’esercito e qui, secondo gli attivisti, c’è la mano diretta del ministro della Difesa Al Sisi impegnato ad allontanare ogni ombra dai suoi uomini. Non fa altresì menzione di cecchini piazzati sui palazzi che sparavano sulla folla con armi di precisione (com’era già accaduto nel novembre 2011 attorno al viale Muhammad Mahmood). Né dei bulldozer che ammassavano a mucchi i cadaveri impedendo che venissero identificati e pietosamente accuditi dai parenti per l’estremo saluto. Da ciò l’accusa d’una parzialità mascherata da presunto lavoro di controinformazione, basato invece esclusivamente sui filmati di Ontv di proprietà di Naguib Sawiris (uno degli uomini d’oro d’Egitto con un patrimonio calcolato da Forbes attorno al 3 miliardi di dollari, quello del fratello Nassef s’aggira sui 7) escludendo altre registrazioni di quelle drammatiche ore. Né è stata raccolta la testimonianza di alcun reduce delle tre giornate di sangue. Dunque un’operazione volta a giustificare agli occhi dell’opinione pubblica, interna e straniera, la repressione come una necessità. La stessa con cui adesso che le proteste sono proibite per garantire la sicurezza nazionale, costringe gli uomini in nero a far fuoco strizzando sul mirino uno di quegli occhi da giovane povero che diventa carnefice per il bene della patria.



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