venerdì 22 agosto 2014

Afghanistan, attacchi al Partito della Solidarietà


Nonostante accordi e aggiustamenti fra le parti i clan di Abdullah e Ghani  (e tutta la pletora degli alleati con turbante e senza ma certamente con le armi) assieme alla Commissione Elettorale Indipendente, benedetta da Nazioni Unite e da Kerry, continuano a patteggiare il difficilmente patteggiabile: la divisione delle poltrone. Un potere che dovrebbe seguire la comparsata delle verifiche d’un numero imprecisato di urne elettorali. Le ultime cifre ne indicano 14.516, magari fra qualche giorno quel riferimento aumenterà di nuovo. Si va avanti in tal modo da fine giugno e in condizioni normali si potrebbe pensare a un ‘work in progress’, non è così. Quello che procede a Kabul è un negoziato che ai sorrisi e alle strette di mano dei due politici intenti a decidere come spartirsi la guida della Repubblica Islamica e dividere la torta degli aiuti internazionali (compresi quelli della cooperazione che spesso prendono le vie dei locali ministeri), contrappone le tensioni dei loro sostenitori. Non solo fra gli attivisti di strada, ma fra gli incravattati funzionari che constatano come i voti sui database non corrispondono affatto a ciò che compare sulle schede rivisitate.

Un peccato comune a entrambi i candidati, perché le presidenziali andate in scena di falso hanno l’intero meccanismo, basato su brogli e voto di scambio. Martedì scorso qualche parola di troppo fra gli schieramenti ha prodotto una mega rissa all’interno della sede della commissione, non sono spuntati i kalashnikov ma coltelli e forbici sì, e con essi diversi addetti si sono bucati le carni finendo in sei all’ospedale. Se tale è il clima nella struttura che ha giurato di risolvere il busillis dei voti fuori posto, non meraviglia che il Paese risenta da mesi d’una tensione elevatissima.  Sia nelle province dove i talebani continuano a mietere vittime (ultimamente cinque poliziotti a Helmand), sia dove loro stessi cadono nelle retate delle Forze della Sicurezza Nazionale Afghana (come a Shar-e Safa). La capitale prosegue a essere nel mirino dei gruppi talebani interni e della sempre attiva Rete di Haqqani, lo dimostrano gli agguati e le infiltrazioni nelle file dell’ANF. Cresce l’allarme sicurezza nelle strade con furti di materiale in pieno giorno, mentre gli attivisti umanitari occidentali sono in allerta per possibili rapimenti a scopo d’estorsione.

Cresce la criticità anche per le forze democratiche del Paese, il Partito della Solidarietà ne è bersaglio. Dopo il capillare dibattito interno dei mesi scorsi Hambastagi puntava alla partecipazione alle prossime elezioni politiche, promesse dai contendenti alla presidenza. Però il congresso, che si doveva tenere il 5 agosto e che avrebbe ufficializzato la scelta, è stato sospeso per i gravissimi episodi accaduti nelle settimane scorse. L’uccisione d’un giovane membro del partito di nome Safa, di suo padre Agha e le ripetute minacce rivolte a un altro noto militante, momentaneamente riparato fuori da Kabul, hanno fermato l’assise. Se il clima peggiorerà lo spettro della clandestinità, che i democratici di Hambastagi vogliono evitare, potrebbe diventare un crudo bisogno. Nonostante le difficoltà si protesta ancora alla luce del sole, come mostrano le foto d’un meeting contro i criminali di guerra lanciato dal Saajs. Fra i sospettati della duplice esecuzione alcuni soggetti vicini ai Warlords dell’Alleanza del Nord, la sempiterna congregazione che ha oggi nell’inossidabile Abdul Sayyaf l’elemento di spicco, propenso come Helal a collaborare con Hekmatyar. Un trio fondamentalista che, vent’anni dopo i sanguinosi anni di guerra civile di cui fu attore, rinnova la sua inquietante presenza, mentre veglia sulla mossa della bi-presidenza.

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