sabato 2 gennaio 2016

Arabia Saudita, il regno della decapitazione


Avviare l’anno con la morte. E’ quanto fa la dinastia Saud che ha messo in atto quarantasette delle oltre cinquanta condanne capitali già decretate nel mese di ottobre. Fra le vittime c’è lo sceicco sciita Nimr al-Nimr della moschea di Qatif nell’area orientale del Paese dove si concentrano molti giacimenti petroliferi. In galera dal 2012, Nimr era stato sottoposto a torture per l’esplicito appoggio offerto alle proteste che, sull’onda delle Primavere arabe, s’erano registrate anche in Arabia Saudita ed erano state immediatamente stroncate nel sangue dal regime di Riyad, in casa e nel vicino Bahrein. Secondo il Tribunale, che aveva espresso le sentenze di morte, gli imputati avevano sostenuto fra il 2003 e il 2006 le azioni di al-Qaeda che mettevano a repentaglio la monarchia e la stabilità del Paese. Alcuni di loro appartenevano alla componente jihadista, su altri invece i dubbi sono ampi. Di fatto re Salman e figlio vogliono ammonire i sudditi dal lasciarsi coinvolgere in movimenti d’opposizione, per i quali vengono previste sanzioni draconiane, in piazza e nelle corti di giustizia.
A porre il sigillo della ‘sentenza equa’ è stato coinvolto anche il gran mufti Abdulaziz Al al-Sheikh, che con un’apparizione sulla rete televisiva nazionale ha decretato come le esecuzioni fossero giuste. Teheran ha tuonato contro i Saud sostenendo che pagheranno cara quest’ennesima doppia violenza contro l’uomo e lo sciismo. Ma non è detto che anche il fratello e il nipote del mullah ucciso, entrambi nelle galere di Riyad, non subiscano la medesima sorte, incendiando ancor di più gli animi nelle varie comunità sciite che hanno dato vita a manifestazioni spontanee. I chierici invocano proteste pacifiche, però difficilmente verranno ascoltati. In Yemen i ribelli Houthi rimettono in moto azioni di guerriglia, in Bahrein la polizia disperde cortei per ora coi lacrimogeni, in Iraq la milizia Hezbollah si prepara a scontri certi coi sunniti. La linea durissima dei monarchi sauditi, forti del potere energetico che li tiene in relazioni di diplomazia economica con tutto il mondo, si sviluppa sul doppio terreno sociale e politico usando l’arma del terrore verso i cittadini. Nel giro di due anni le pene capitali sono quasi raddoppiate passando dalle 90 uccisioni del 2014 alle 157 dell’anno appena concluso.

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