giovedì 7 gennaio 2016

Kurdistan turco, pena di morte per via

C’è modo e modo di assassinare a sangue freddo. I boia sauditi lo fanno con la spada, i compari-antagonisti che provano a superarne fondamentalismo e cinica ferocia usano coltellacci, poi c’è chi spara indiscriminatamente sui civili. L’ha fatto ancora l’Isis a Parigi, lo fa lo Stato turco da due mesi accanito contro le popolazioni kurde del sudest del Paese. Lo fa e se ne vanta per bocca del presidente Erdoğan, orgoglioso dei tremila e cento kurdi assassinati, che lui definisce terroristi, siano militanti del Pkk o semplici cittadini, compresi tredicenni o donne ultra ottuagenarie. La furia repressiva del presidente alleato, di cui s’occupa e che preoccupa la Casa Bianca, imbarazzata di fronte ai recenti farneticanti  paralleli con Hitler, ha stroncato le vite di altre tre attiviste: Sevê Demir, Pakize Nayır, Fatma Uya, impegnate in vari ruoli. Sevê aveva conosciuto le carceri di regime dov’era stata rinchiusa dal 2009 per cinque anni. Era quindi diventata rappresentante del Partito Democratico delle Regioni nell’area di Mardin e Şırnak. Pakize era copresidente del Consiglio del Popolo a Silopi, Fatma militava nell’organizzazione delle Donne Libere. Bastava questo per considerarle pericolose terroriste, secondo la crescente paranoia razzista che il presidente turco teorizza ormai apertamente.
Così in uno dei centri assediati da un mese assieme a Cizre e Sur - Silopi -  la polizia ha compiuto il 4 e 5 gennaio nuovi raid e arrestato 57 persone, fra cui odiati giornalisti. Nei conflitti a fuoco unilaterali, visto che sparavano solo agenti e cecchini dell’esercito turco, le tre donne sono state colpite mortalmente assieme a un giovane. Tutto ciò non è casuale visto che l’establishment turco ha sdoganato l’esecuzione a sangue freddo e garantisce l’assoluta copertura ai propri apparati della forza che colpiscono  nel mucchio i cittadini della comunità kurda e praticano una meticolosa eliminazione di attivisti più o meno noti. La logica e l’effetto sono quelli d’una pulizia etnica perpetrata nel silenzio assoluto delle leadership internazionali. Le autopsie compiute sui cadaveri delle tre donne e su quello del giovane uomo hanno rilevato danni abnormi tanto da ipotizzare un vero e proprio tiro al bersaglio. Le salme risultano crivellate di pallottole, undici quelle che hanno stroncato la Demir con armi di diverso calibro che scavavano fori da 5x3 cm e da 2x1. Il referto medico, purtroppo macabro, parla di scatole craniche aperte in due; ciò lascia il dubbio sul tipo di armi usate e può far pensare a esecuzioni praticate con  micro cariche esplosive. L’uomo ucciso è massacrato di colpi tanto che il riconoscimento non è stato ancora possibile. Crescono l’orrore e la rabbia nella comunità interna e i kurdi presenti in altre nazioni; manifestazioni e proteste ci sono finora state in Germania, Francia, Austria, Svizzera.



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