martedì 29 novembre 2016

Weeda Ahmad: “Ostacolare i criminali di guerra con una rete internazionale di sostegno”


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Weeda Ahmad è la presidente dell’associazione afghana Saajs (Social Association Afghan Justice Seekers) da anni impegnata a raccogliere testimonianze sui crimini di guerra compiuti da figure politiche afghane tuttora presenti sulla scena nazionale e internazionale con incarichi istituzionali. Ha partecipato assieme ad altri attivisti dei diritti: l’egiziano Malek Adly (in video), l’irachena Nibras Almamuri, l’indiano Assem Trivedi, il siriano Zaidoun al Zoabi, il mauritano Biram Dah Abeid, al convegno “Difendiamoli!” organizzato ieri presso la Camera dei Deputati da diverse associazioni che sostengono la protezione dei Diritti Umani. 
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Weeda è utile confrontarsi con attivisti di altre nazioni sul tema dei diritti umani negati?
Il dialogo e la collaborazione fra chi si batte per il rispetto dei diritti umani nei vari Paesi sono indispensabili, i difensori delle libertà rappresentano un mezzo formidabile di sostegno reciproco a livello internazionale. Proprio perché i profanatori di questi diritti e i criminali sono uniti fra loro, trovo giusto coordinare le attività di chi si difende. 
Cosa s’aspetta l’associazione Saajs da simili convegni? 
Ci aspettiamo che le testimonianze e i propositi che qui si confrontano non restino rinchiusi nei recinti d’un salone, pur importante come questo del Parlamento Italiano. Non vorremmo che terminato l’ennesimo convegno tutto venga archiviato, poiché in tal modo si favorisce l’oblìo. Auspichiamo la nascita di comitati permanenti che possano sviluppare confronti e un percorso comune.
Così da portare al cospetto del Tribunale Internazionale dell’Aja le nefandezze di più Paesi?
Sarebbe giusto. Certo, prendiamo l’esempio afghano: il nostro governo dal 2003, sotto la prima presidenza Karzai, ha riconosciuto il Tribunale dell’Aja però si dichiarava competente per crimini avvenuto dopo quell’anno; lasciando, dunque, scoperta tutta la fase della guerra civile (1992-96) in cui i signori della guerra dal hanno massacrato 80.000 concittadini e tralasciando il periodo del terrore talebano fino al 2001. Negli anni successivi al 2003 a Kabul è stato creato un comitato governativo che doveva rapportarsi alla Corte dell’Aja, in questa struttura è presente Salahuddin Rabbani, figlio dell’ex signore della guerra che fu anche presidente della Repubblica Islamica dell’Afghanistan, ed è attuale ministro degli esteri dell’amministrazione Ghani. Strutture che vedono la presenza di questi uomini ovviamente non lavoreranno per inseguire la giustizia sulle atrocità del passato.
Prevale maggiormente la condivisione del dolore o la frustrazione per la mancata giustizia?
Ci sono entrambe, non lo nascondo. C’è anche quel senso d’immobilità delle cose, però c’è il desiderio di guardare avanti e non arrendersi. Non abbiamo altra via.
Nel vostro Paese giungono notizie delle vessazioni altrui?
Purtroppo abbiamo un sistema mediatico acquiescente e complice verso il potere che non presta attenzione al quadro internazionale. I familiari delle vittime civili - che nel quindicennio d’occupazione occidentale sono continuate a esistere - non hanno bisogno di conoscere dai media gli scempi, vengono informati sul posto o, se si abitano in altre zone, sono avvertiti da gente comune e funzionari governativi. I giovani che usano i social network si trovano di fronte a un bivio: sul web esistono siti d’informazione ufficiale come Tolo tv, e quelli d’opposizione fondamentalista e d’altra tendenza. Ognuno osserva i suoi canali, li usa e lì cerca proprie referenze, non c’è dialogo fra le parti.
Ai deputati italiani che sostengono un governo che finanzia truppe d’occupazione nel vostro Paese, cosa chiedete? cosa rivendicate ?
Ai questi parlamentari non chiediamo nulla perché se sostengono la missione Nato sono complici di ciò che fanno le truppe d’occupazione. Ribadisco: dal 2001 con l’Enduring Freedom, la missione Isaf e ora col Resolute Support i crimini di guerra non sono diminuiti. Noi domandiamo solidarietà al popolo italiano, alle strutture di sostegno di diritti umani, alle Ong, al volontariato.
Quale svolta prevede in Afghanistan: i talebani verranno cooptati al governo?
Sono pessimista. L’integrazione dei talebani nel governo è possibile, e questo sposterà ancor più l’orientamento del Paese verso il fondamentalismo in politica e nei costumi, ma tutto ciò non basterà a limitare gli spazi dell’Isis. Se dovesse proseguire un’occupazione occidentale, i miliziani potrebbero sostituire i taliban nel ruolo di resistenti.
Cosa avete pensato dell’apertura compiuta dal presidente Ghani verso Hekmatyar, noto come ‘il macellaio di Kabul’?
Che il governo “democratico” getta la maschera. Come ai tempi di Karzai questi personaggi servono due padroni: gli statunitensi che li insediano e i fondamentalisti interni con cui fanno affari. 
Anni di lavoro a raccogliere testimonianze sulle vittime dei signori della guerra andati in fumo? 
Non proprio. La coscienza acquisita con quest’esperienza e i frutti della stessa - le testimonianze documentate - non sono lavoro perso. Tornano utili perché creano determinazione e senso civico in nuove leve di attivisti. Inoltre conserviamo molte copie dei documenti, nella sede dell’associazione e in vari luoghi segreti. A media o lunga scadenza, tutto servirà per inchiodare i criminali.
Aumenta fra la gente il sostegno al vostro lavoro oppure prevalgono nuovamente paura e omertà?

L’omertà no. La nostra gente odia i politici afghani sia per le condizioni di miseria in cui costringono milioni di persone, sia per la corruzione e il servilismo verso lo straniero occupante e non. La paura è, invece, presente. In troppi di più generazioni hanno perso fiducia per le tante promesse tradite negli ultimi quarant’anni. La paura è un fattore oggettivo e si mescola con la sfiducia. Ma c’è anche speranza. Ci aiutano i giovani, sull’onda di quell’energica incoscienza che porta a impegnarsi per degli ideali in condizioni di assoluto volontariato. Noi non molliamo. Non molliamo affatto.


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