lunedì 5 febbraio 2018

Erdoğan incontra Francesco


Benvenuto o meno, Erdoğan è sbarcato a Roma come il più potente dei Presidenti, visti i tremilacinquecento poliziotti che blindano la città, dall’area attorno piazza San Pietro al Quirinale, passando per palazzo Chigi, dove incontra i rappresentanti della Città del Vaticano e dello Stato Italiano: papa Francesco, il presidente Mattarella, il premier Gentiloni. Dei colloqui si saprà poco nell’immediato, visto che il protocollo non ha previsto né conferenze stampa né tantomeno presenze di giornalisti, tanto che alcune associazioni di categoria come Articolo 21 hanno sollevato proteste, mentre la comunità kurda di Roma e circoli dell’opposizione hanno organizzato un sit-in di protesta nei giardini di Castel Sant’Angelo. Il presidente-sultano continua a tenere la scena internazionale e mediatica: col pontefice parla della questione di Gerusalemme, tema sollevato  dall’amministrazione Trump con la proposta-choc di renderla capitale di Israele, e parlerà dei profughi siriani. Quelli già sparsi in tanti Paesi, e da anni massicciamente in Turchia; quelli che potrebbero ulteriormente crearsi a seguito dell’ulteriore frazionamento del territorio, che subisce le mire turche con l’azione contro l’enclave di Afrin.
Qui i kurdi del Rojava hanno lanciato il loro grido di dolore, per l’attacco alle postazioni con cui le proprie unità hanno tenuto testa ai jihadisti dell’Isis e, dal 19 gennaio scorso, si vedono colpite dall’assalto turco dai proclami  sionisti (l’operazione è chiamata “Ramoscello d’ulivo”). I contendenti offrono un soggetivo quadro degli effetti, comunque deleteri,  verso la popolazione civile e anche militante, visto ciò che è stato riferito sul corpo violato della guerrigliera kurda Barin Kobani. Esiste di fatto una sperequazione fra il migliaio di “neutralizzati” propagandati da Ankara e le 140 vittime dichiarate da parte kurda. Comunque, notizie soggettive a parte, non è solo sui numeri che si deve riflettere per sottolineare come Erdoğan stia inglobando una frazione territoriale del Rojava per estirparne i nuclei combattenti, mentre l’esercito turco afferma di compiere un’operazione antiterroristica contro l’Isis (che in quell’area non c’è da tempo) e il Pkk, inteso come militanti del Pyd considerati una loro costola. Tutto ciò, però, non accade per caso. Sullo scacchiere siriano, dove il conflitto non è affatto concluso, sono in atto affari privati del fronte pro Asad, con Mosca che ha patteggiato con Ankara un via libera all’intervento anti kurdo. Alcuni analisti sostengono come nel frazionamento occidentale della Siria, deciso, passo dopo passo, negli incontri di Astana i russi siano interessati a posizionarsi a Idlib.
Quanto la Santa Sede possa impedire tutto questo si pone a metà strada fra il mistero e il miracolo. La geopolitica prosegue il suo corso, mentre le altre Istituzioni visitate dall’autocrate turco, presidente e premier italiani, dovrebbero assumere un ruolo diplomatico di mediazione nei confronti di altri partener occidentali: dall’imprevedibile plenipotenziario d’Oltreoceano, all’asse politico franco-tedesco. Ma l’opzione dell’ingresso in Europa è da tempo fuori dall’agenda di Erdoğan, invece all’alleanza militare Nato desta preoccupazione la sua cocciutaggine, la mania di grandezza e il triplo giochismo con cui fa e disfa secondo personali opportunità delle circostanze. Sulla delicatissima questione dei diritti violati, quelli della minoranza kurda che, oltre alla repressione carceraria rivive l’eliminazione fisica dei cittadini, delle opposizioni e della libertà d’espressione della stampa, l’Unione Europea potrebbe sollevare proteste o più incisive pressioni economico-commerciali. Ma sono proprio gli ingranaggi del business che bloccano iniziative del genere - accade con molti autocrati - e accade ancor più con Erdoğan. Il nostro Paese, ad esempio, è il terzo cliente della Turchia, impegnato con 20 miliardi di dollari d’affari, difficilmente Gentiloni e Mattarella anteporranno i diritti dei kurdi a quello dei capitali impegnati e in itinere. E pure i pensieri di Francesco probabilmente poco potranno per Afrin e le sue genti.

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